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Coffee Chat con la Prof.ssa Anna Gervasoni: il report dei Mentee

di Team Editoriale | M4U

Quando si parla di Private Equity o Venture Capital, si tende spesso a pensare a grafici, deal e rendimenti. Eppure, durante la Coffee Chat con la Prof.ssa Anna Gervasoni, è stato chiaro fin da subito che questo mondo non si regge solo sui numeri: dietro ogni operazione ci sono persone, relazioni, intuizioni e, soprattutto, una certa idea di futuro.

Empatia e mestiere da “marciapiede”

Uno dei passaggi più significativi è stato il modo in cui la Professoressa ha descritto il lavoro nel Private Capital: “un mestiere da marciapiede”. Un’espressione tutt’altro che casuale, che diventa un invito a scendere tra le persone, a parlare con gli imprenditori, con chi crea valore ogni giorno. Non basta conoscere modelli di valutazione o metriche di rendimento: serve empatia, la capacità di leggere i contesti, comprendere chi si ha di fronte e costruire fiducia. 

Per la Prof.ssa Gervasoni, fare bene il proprio mestiere significa prima di tutto scegliere la strada che sentiamo più nostra. “Non avrei mai voluto un lavoro dietro una scrivania”, ha raccontato, ed in questa frase c’è un'importante lezione: i percorsi professionali più vivi ed autentici nascono da ciò che ci somiglia.

Il coraggio di cambiare

Bisogna prendersi il rischio di cambiare subito, anche quando fa paura”.

Un messaggio chiaro e diretto, che tocca in prima persona noi studenti: quante volte capita di chiedersi se la direzione intrapresa sia quella giusta? Lei ci ha ricordato che l’incertezza non è un difetto, ma il segno che stiamo imparando, che stiamo esplorando. Ci ha raccontato che la sua carriera accademica è nata quasi per caso, e che molte delle sue scelte sono state guidate più dall’istinto che dal calcolo, dando, però, grande importanza al contesto. Un equilibrio sottile e prezioso tra intuito e consapevolezza.

Radici e mobilità

Un altro passaggio che ci ha toccati riguarda il tema delle radici.

“Se non hai il tuo rifugio, è un casino”, ha detto con un sorriso. Una frase semplice, ma capace di aprire un mondo.

In un’epoca in cui la mobilità è vista come un sinonimo di successo, ci ha ricordato quanto sia importante restare ancorati a qualcosa: un luogo, una comunità, o anche solo uno spazio di quotidianità in cui potersi ritrovare. Ci ha invitato a custodire le nostre origini e le persone che ci ricordano chi siamo e dove siamo cresciuti, per avere sempre un punto di riferimento nella nostra vita.

 

L’insicurezza come compagna di viaggio

Forse il momento più autentico dell’incontro è stato quando ha parlato dell’insicurezza. Anche una donna forte come lei, l'ha provata nel corso della sua carriera. Ci ha raccontato dei dubbi di quando scelse Economia su consiglio del padre, o di come molte tappe della sua carriera siano nate da incontri fortuiti, più che da piani predefiniti. Ciò non significa che lei si sia fatta trascinare dal caso, ma piuttosto che abbia deciso di sfruttare le opportunità che le si sono poste davanti.

È stato incoraggiante sentirle dire che la fragilità non è una debolezza, ma una bussola. Possiamo permetterci di non sapere tutto, di cambiare idea, di crescere lungo la strada.

Una chiusura condivisa

Alla fine della conversazione, ci siamo resi conto che non era solo un incontro sul Private Equity. Era una lezione sulla vita professionale e personale fatta di coraggio, curiosità e umanità.

Ci ha lasciato con la sensazione che il vero capitale, prima ancora di quello finanziario, siano le persone e le connessioni che costruiamo ogni giorno.

-Damiano Giallongo, Pierluigi De Rose, Paolo Pacchione e Giulia Simonotti


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